I voti francescani: Obbedienza, povertà e castità in Giotto
Giotto e i pittori giotteschi ad Assisi. Elvio Lunghi – Editrice La Rocca
Allegoria dell’Obbedienza
Un’iscrizione in versi negli archi divisori
illustra le figure simboliche di ciascuna
allegoria. Nella vela dell’Obbedienza
sta scritto: «La virtù dell’Obbedienza si
consegue per il giogo di Cristo, il quale
giogo si sostiene obbedendo con garbo. Chi
si sottopone a questo peso, e passa sotto
silenzio le opere del secolo, illumina le opere
che si conoscono con il cuore. Accompàgnati
alla Prudenza e saprai riconoscere le cose
future, le presenti e quelle già passate...».
I due giovani in ginocchio sotto la loggia
sono le sole figure reali in mezzo a tante
figure allegoriche: uno vestito di azzurro e
con una cuffia in testa è preso per il polso da
un angelo; l’altro vestito di rosso e con il capo
chiericato ha le mani giunte in preghiera.
È probabile che si tratti dei ritratti dei due
fratelli Gian Gaetano e Napoleone Orsini: il
primo morì ancor giovane e fu sepolto nella
cappella di San Nicola; l’altro fece costruire
le cappelle e decorò le pareti del transetto.
L’edificio che compare nella vela è circondato
da schiere angeliche. All’interno, tre figure
allegoriche identificate da scritte: la
Prudenza ha un volto bifronte e ha in mano
un compasso e uno specchio; l’Obbedienza
è una creatura alata che impone un giogo
a un frate e lo invita al silenzio; l’Umiltà ha
l’aspetto di fanciulla con un cero acceso.
A sinistra un angelo invita due giovani a
guardare l’Obbedienza; a destra un angelo
respinge un centauro. Sopra il tetto san
Francesco è in piedi tra due angeli.
Sulla parete di fondo dell’edificio Giotto
dipinse una Crocifissione come se ne
vedono in tante sale capitolari di conventi
medievali. Soltanto che il corpo del
Crocifisso è solo in parte visibile, perché
la testa e le braccia sembrano nascoste
dall’archivolto dell’arcata e le gambe
dalla allegoria dell’Obbedienza. L’effetto
illusionistico cercato è una pietra miliare
nella storia del trompe–l’oeil: ben noto agli
antichi ma ignorato dai pittori medievali.
Allegoria della Castità
Entro una torre è chiusa la Castità, alla
quale due angeli offrono una corona reale
e una palma. Dalle mura si affacciano le
allegorie della Mondizia e della Fortezza, e
si voltano verso un giovane nudo che viene
purificato da due angeli. Due angeli portano
le vesti dell’iniziato, angeli in armi fanno
la guardia al fonte, altri angeli scacciano
allegorie di vizi sulla destra, e assistono a
sinistra san Francesco che accoglie allegorie
della Virtù sulla sinistra.
Nella visione allegorica è coinvolto anche
san Francesco, che accompagnato da
due angeli accoglie tre personaggi che
ascendono la costa: un laico, un frate e una
suora, a rappresentare i tre Ordini la lui
fondati. Francesco prende per mano il frate
mentre la clarissa allunga ambo le mani verso
una croce dorata.
La visione della Castità vede il
coinvolgimento delle nove gerarchie
angeliche – Angeli, Arcangeli, Troni,
Dominazioni, Potestà, Virtù, Principati,
Cherubini, Serafini – che sono descritte nel
De coelesti hierarchia da Dionigi l’Areopagita
e che sono riprodotte anche nei costoloni
della crociera. Nella Legenda maior di
Bonaventura da Bagnoregio, san Francesco
è identificato nell’angelo del sesto sigillo
iniziatore dell’età dello Spirito, di cui parla
l’apostolo Giovanni nell’Apocalisse.
La Castità chiusa nella torre riproduce una
situazione reale assai diffusa nell’Europa
medievale. Le murate vive erano donne
penitenti che si chiudevano in un carcere
cercando il deserto sotto lo sguardo
ammirato dei concittadini; o che si
ritiravano in una comunità che professava
una rigida clausura. Anche il tabernacolo
a sportelli che si vede appeso a una parete
riproduce la situazione reale delle immagini
di devozione private.
Allegoria della Povertà
Le nozze mistiche tra Francesco e la Povertà
sono liberamente ispirate a un libretto
anonimo del xiii secolo – Sacrum commercium
sancti Francisci cum domina Paupertate – che
illustra l’amore di Francesco verso questa
virtù raccontando la visita fatta da Madonna
Povertà a Francesco e ai suoi frati di Assisi.
Lo stesso testo ispirò Dante Alighieri, che
dedicò l’intero canto xi del Paradiso alle
nozze di Francesco con la Povertà.
Due angeli invitano a seguire il modello
di Francesco, che ha saputo rinunciare ai
bei vestiti e alle belle case, introducendo
esempi di virtù e di vizio. A sinistra la Carità
è impersonata da un giovane che si spoglia
del mantello per farne dono a un povero. A
destra l’Avarizia è incarnata da un ricco che
si allontana stringendo gelosamente la sua
borsa, mentre un angelo invita un nobile con
un falcone a seguire Francesco.
Il matrimonio mistico di san Francesco e
Madonna Povertà è ambientato sulle balze di
un monte, alla presenza di Gesù Cristo che
prende per mano una donna poveramente
vestita, alla quale Francesco pone un anello
al dito. Alle spalle della Povertà sono le
allegorie della Speranza e della Carità,
mentre tutto intorno sono disposti gli angeli.
In basso due bambini lanciano sassi e spine
in direzione della sposa. In alto due angeli
portano in cielo una veste preziosa e un
bellissimo casamento.
«Nel terzo luogo è la Povertà, la quale va coi
piedi scalzi calpestando le spine: ha un cane
che le abbaia dietro, e intorno un putto che
le tira sassi, ed un altro che le va accostando
con un bastone certe spine alle gambe. E
questa Povertà si vede esser quivi sposata da
San Francesco, mentre Gesù Cristo le tiene la
mano, essendo presenti non senza misterio la
Speranza e la Carità» (Vasari 1568).
(Tratto da: Giotto e i pittori giotteschi ad Assisi
Guida alle opere di Giotto e dei pittori umbri del Trecento
nelle chiese e nei musei di Assisi – di Elvio Lunghi – Editrice La Rocca)
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